Ma il suo coraggio e le sue doti militari lo imposero all’attenzione di Scipione l'Emiliano durante il suo servizio in Spagna, che lo indicò suo degno successore. Con l'aiuto della gens Metella divenne tribuno della plebe e durante questa carica rivelò le sue simpatie per la causa popolare.
Malgrado le ostilità degli Ottimati, fu chiamato da Cecilio Metello quale legato al suo campo in Africa nella guerra giugurtina. I suoi successi militari, il favore delle soldatesche con le quali aveva diviso i disagi e le rinunzie, l’'aiuto di alcuni ambienti romani gli aprirono la via alla massima carica: il consolato e, di conseguenza, al comando dell’esercito in Numidia.
Con energia e rapidità la guerra fu conclusa e Giugurta condotto a Roma in catene. Per cinque volte consecutive, eccezionalmente, Mario fu rieletto Console (104 - 100 a.C.) perché Roma volle affidare al suo miglior capitano la difesa della patria contro i Teutoni e i Cimbri che ne minacciavano le frontiere. Con l’'esercito da lui riformato tatticamente e socialmente, sotto l'’insegna dell’'Aquila, che volle simbolo delle legioni romane, i Germani furono definitivamente sconfitti ad Acquae Sextiae (Aix en Provence) e ai Campi Raudii.
All'apogeo della sua gloria, Mario non dimenticò la sua patria d'origine e disponendo della Gallia cisalpina come terra di conquista, donò ad Arpino quei territori le cui rendite servirono a mantenere i templi e gli edifici pubblici della città. Nell'etimologia della Camargue ritroviamo, infatti, il ricordo di Mario (Caii Marii Ager).
Quale uomo politico Mario non ebbe la stessa fortuna. Appoggiò il programma popolare, fu l’idolo della plebe ma, venuto a contrasto con l'aristocratico Lucio Silla, sostenne una sanguinosa lotta civile con varie vicende che lo portarono fino all'’esilio in Africa. Richiamato, fu console per la settima volta come avevano presagito ripetuti vaticini, tra i quali quello dei sette aquilotti trovati vicino alla sua culla, di cui ci racconta Plutarco. Pochi giorni dopo il conferimento del consolato Mario, colpito da febbre, morì nell’86 a.C.